L’infinita battaglia tra John Isner e Nicolas Mahut

Il calendario segna 24 giugno 2010 ed il sole calante accarezza i prati dell’All England Tennis Club di Londra quando, accolto da un tripudio di urla, John Isner sdraia i suoi 108 chili distribuiti su 208 centimetri di statura sull’erba del campo numero 18.

L’ambiente

Siamo a Wimbledon, sobborgo ricco di verde a sud-ovest del centro cittadino, quartiere che balza agli onori della cronaca sostanzialmente due settimane all’anno, proprio in concomitanza del più antico e prestigioso torneo di tennis del pianeta. Affermarsi nella terra di Sua Maestà la Regina Elisabetta vuol dire scrivere indelebilmente il proprio nome nella storia di questo sport, ed in passato per tante volte i campi di Wimbledon sono stati già teatro di scontri epici, che anche solo nel passaggio dall’azione alla narrazione perdono parte della loro magia. Questa volta, però, neanche gli addetti ai lavori possono credere a quello che è appena successo sul piccolo terreno di gioco incastrato tra la palazzina dedicata alle televisioni e l’immensa struttura del campo 1. Partiamo dal principio.

Il Centre Court di Wimbledon, campo da tennisvisto da una ngolo degli spalti
Il Centre Court di Wimbledon (fonte: Wikimedia Commons)

Sua Maestà, il Torneo

Come ogni anno, a cavallo tra l’ultima settimana di giugno e la prima di luglio l’All England ospita l’èlite del tennis mondiale per i Championships, a tutti gli effetti il torneo principe del mondo della racchetta. La magia che si respira tra i campi londinesi non è ricreabile in nessun altro luogo o tempo, e questo lo rende un appuntamento immancabile, leggendario per qualsiasi appassionato. Gli organizzatori, dal canto loro, fanno di tutto per mantenere intatte le caratteristiche che hanno reso così iconica la competizione: si scende in campo solo vestiti di bianco da capo a piedi (memorabile la multa inflitta al re, Roger Federer, otto volte campione, per le suole arancioni delle sue Nike); si gioca ancora su erba (mentre sostanzialmente in tutto il resto del circuito ATP si predilige il cemento, o la terra battuta); chi non si guadagna l’accesso ai campi può guardare comunque le partite tramite un megaschermo, seduto o sdraiato sulla collinetta che sorge dietro al campo centrale – chiamata prima Henman Hill, poi anche Murray Mound, a seguito delle imprese dei due più famosi tennisti britannici degli ultimi 20 anni – e gli incontri spesso e volentieri si trasformano veri e propri eventi glamour gremiti di celebrità intente a gustare le tipiche fragole con panna, diventate un simbolo dell’intero torneo. Non è raro, soprattutto nelle fasi finali della competizione, vedere anche membri della famiglia reale fare capolino nel “royal box” a loro dedicato all’interno del campo centrale.

Fragole e panna, il dolce tipico consumato dagli spettatori di Wimbledon
Strawberries and cream, tipico dessert di Wimbledon (fonte: Wikimedia Commons)

La gavetta di Mahut

Nel 2010 al tabellone principale riesce ad arrivare anche il francese Nicolas Mahut, numero 148 del mondo, che in quanto tale è costretto a passare da tre turni di qualificazione: i primi due al meglio dei tre set (6-0,6-3 con Frank Dancevic e la maratona 3-6, 6-3, 24-22 contro Alex Bogdanovic) e l’ultimo al meglio dei cinque (altro match lunghissimo vinto per 6-7,3-6,6-3,6-4,6-4 contro Stefan Koubek). Ma, nonostante le fatiche Nicolas -190 centimetri per 90 chilogrammi e dei capelli che sfidano la forza di gravità- sembra sentirsi pieno di energie alla vigilia del primo turno. Lui stesso aveva già previsto perfettamente il suo cammino, parlando col suo allenatore Boris Vallejo nell’ultima sessione di allenamento prima del torneo, dicendo: «nel primo turno passerò facilmente; nel secondo farò fatica ma passerò comunque; nel terzo giocherò molto male, ma riuscirò ad accede al tabellone principale; allora sì che giocherò davvero bene». Non è raro, infatti, che un professionista decida di “caricare”, come si dice in gergo, la preparazione atletica pre-Wimbledon, col rischio di arrivare non al meglio all’inizio del torneo, per avere il 100% delle energie da usare nella fase centrale, quando la posta si alza.

Nicolas Mahut ritratto durante una partita a Wimbledon
Nicolas Mahut a Wimbledon (fonte: Wikimedia Commons)

Un avversario difficile

Il sorteggio però non gioca dalla sua, riservandogli il gigante americano John Isner, testa di serie numero 23 del torneo. Poco da discutere, i classici bookmakers britannici lanciano l’americano come netto favorito. Long John, com’è soprannominato bonariamente all’interno del circuito, presenta un gioco lineare ma al contempo difficile da contrastare: un servizio tremendamente potente, aiutato dalle lunghissime leve, che sfonda letteralmente la difesa dell’avversario e, anche quando la palla torna dalla sua parte del campo, gli permette spesso di chiudere il punto col suo dritto violento, o al limite accorciando nei pressi della rete. Mahut, dal canto suo, nasce come giocatore di doppio – anni dopo centrerà, al fianco del fedele compagno e connazionale Herbert, il prestigioso Career Grand Slam, oltre al vanto di aver occupato la prima posizione del ranking mondiale per 35 settimane – ma all’epoca dei fatti sta cercando la sua strada anche nel circuito del singolare.

John Isner ritratto durante una partita a Wimbledon
John Isner a Wimbledon (fonte: Wikimedia Commons)

Day 1

Pronti, partenza, via

I due scendono in campo, rigorosamente vestiti secondo il dress code all in white, martedì 22 giugno 2010, alle 18:18, sul campo 18. Già da qui, se siete scaramantici o appassionati di numerologia, noterete qualcosa di speciale.
La partita, contornata da una cornice modesta di pubblico piuttosto tranquillo, sembra incanalata su binari ben precisi: due grandi servitori, battute potenti, scambi corti, tanti vincenti e pochi break. Per la precisione uno per parte a decidere i primi due set: 6-4 per Isner in 32 minuti, 6-3 per Mahut in 29. Nessuno sembra aspettarsi una partita storica, anzi a dire il vero il confronto è piuttosto monotono, una di quelle partite che fanno storcere il naso ai nostalgici, stanchi e spazientiti dal tennis dei “big server”, soprattutto perchè da quel momento i due alzano ancora l’asticella del loro servizio, e non si vedono più break. Una fucilata dopo l’altra, si arriva sul 6-6 in entrambi i set successivi: Mahut vince il primo tie-break 9-7 ed arriva a quattro palle dalla conquista del match nel quarto set, in cui però crolla sul più bello subendo cinque punti consecutivi che valgono ad Isner il 7-3. La contesa è rimandata alla frazione decisiva.

Le prime avvisaglie

L’americano pare scocciato, probabilmente infastidito dall’andare di una battaglia che sulla carta sarebbe dovuta essere a senso unico. Mahut, dal canto suo, sa che si sta giocando una ghiotta chance non solo per il proseguo del suo torneo, ma dell’intera carriera. Rimanere attaccato all’incontro, soprattutto con un avversario non al meglio delle sue capacità, potrebbe essere cruciale per non sprecarla.
Entrambi i contendenti comunque sembrano pronti a portare a casa il quinto set, ma vengono interrotti dall’arbitro prima ancora di iniziarlo: il doppio orologio firmato Rolex che campeggia sul tabellone verde recita 2.54 (ore di gioco) e 9.12 (orario di Londra) e la notte inizia ad avvolgere la capitale inglese. La visibilità è scarsa, e all’All England Club solo il campo centrale, col nuovissimo tetto installato appena un anno prima, può godere dell’illuminazione artificiale. Si deve aspettare l’indomani per il finale thriller.
Così, come da tradizione, il match è programmato sullo stesso campo, secondo nell’ordine di gioco del giorno successivo.

Isner e Mahut durante un cambio di campo
Isner e Mahut durante un cambio di campo (fonte: Wikimedia Commons)

Day 2

Si ricomincia

Dopo una notte di riposo, il 23 giugno nel caldo delle 14 Isner e Mahut si stanno già riscaldando, e gli organizzatori, impegnati come sempre in numeri circensi per cercare di rispettare la tabella di marcia, sono convinti di far cominciare il match successivo non più tardi delle 15.
Craig Boynton, allenatore di Isner, gli ha comunque riempito la borsa di barrette energetiche. Potrebbe andare per le lunghe, dice. Non si aspetta di certo di aver fatto una previsione così tanto fedele alla realtà.
Difatti la partita ricomincia sulla falsa riga del giorno precedente, e per la terza volta consecutiva si giunge al 6-6 senza break. Però, sempre per restare fedeli alla tradizione, gli inglesi (al pari solo degli organizzatori di Roland Garros e Australian Open) nel regolamento della competizione non hanno introdotto il tie-break al set decisivo. Si va avanti finchè un giocatore non riesce a mettere a segno due game in più dell’altro. Evenienza che, solitamente, si verifica dopo meno di 10-15 game. Ma questa non è una partita come le altre. Sul 10-9 Mahut (che dal 5-4 in poi andrà al servizio sempre per salvare la partita) ha un calo: due doppi falli e match point da contrastare sul 30-40. Annullato con un ace. Sarà l’ultimo per molto molto tempo.

Ai limiti dell’eroico

La partita va avanti in un clima sempre più surreale. A partire dal 20-20 assume i contorni dell’odissea, e il campo 18 comincia a riempirsi all’inverosimile, non solo nei circa 750 posti a sedere, ma anche sulla terrazza del media center che, appunto, si affaccia sugli scambi dei nostri protagonisti. Lentamente tra le tribune ci si inizia a schierare col Big John o con il Crazy Nico, e contemporaneamente i presenti si rendono conto di stare assistendo a qualcosa di raramente visto prima, una partita lunghissima, un evento straordinario che scuote il programma di un primo turno relativamente tranquillo.
I game si susseguono in una routine meccanica di ace e vincenti dell’uomo al servizio. Entrambi diranno poi di non essersi accorti di nulla, di aver continuato a giocare punto dopo punto aspettando un calo psicofisico dell’avversario. Calo che non arriva. Mahut è assurdamente pimpante, e dopo ogni cambio campo scatta verso la linea di fondo per nascondere la stanchezza: vuole far capire all’altro che non sarà lui a mollare; Isner al contrario è pronto per il set di The Walking Dead: boccheggia, barcolla e dopo ogni punto sembra sull’orlo dello svenimento, come se lì sopra dove madre natura lo ha costretto a respirare l’aria fosse più rarefatta, ma i suoi colpi rimangono solidissimi. Anzi è lui ad avere, dopo un’infinità di tempo, altre due palle match, sul 33-32, 15-40, ma ancora una volta lo sforzo del francese prolunga la partita e fa letteralmente impazzire il pubblico. L’americano si gira verso il suo team e grida spazientito:

«Cos’ha questo?!».

Mahut e Isner discutono della possibile sospensione del match col giudice arbitro
Mahut e Isner discutono della possibile sospensione del match col giudice arbitro (fonte: Wikimedia Commons)

Il record

Nel frattempo, alle 17:45, il match diventa ufficialmente il più lungo della storia del tennis. Ma, se chiedete a chi quel giorno era lì, vi sentirete dire che nessuno -nessuno- avrebbe potuto immaginare un finale degno per quella contesa. Il tempo era fermo e allo stesso tempo scorreva velocissimo, su Wimbledon. L’impressione era quella di essere stati improvvisamente catapultati nel set di un film di fantascienza, in cui inconsapevoli spettatori si stavano ritrovando testimoni di una storica contesa tra gladiatori con il completino bianco al posto dell’armatura e la racchetta a fare le veci della spada.
Ovviamente la voce si sparge ed oramai per le vie del Club non si parla d’altro, tutti cercano di affacciarsi su uno spicchio del campo diciotto per assistere ad un pezzo di storia dello sport. Campo diciotto dove cambiano palline, raccattapalle, giudici di linea, racchette, asciugamani, ma non i giocatori. Sul 47-47 il tabellone del punteggio prodotto dalla IBM va in tilt. Era stato programmato per un massimo di 94 game complessivi in un set. Sul 58-58, Isner chiede un bathroom break: deve andare in bagno, non resiste più. L’avversario ne approfitta e lo segue. Per la prima volta dall’inizio della partita i due parlano. John chiede scusa per aver chiesto la pausa in quel momento, aveva visto l’altro molto concentrato e non voleva rompere il suo momento magico in questo modo. Nicolas lo guarda e sorride. Diventeranno grandi amici.

Il ritorno in campo

Però lo strappo c’è, e rientrando in campo Mahut annulla un altro match point sul 59-58, conquista il game e si avvicina alla sedia dell’arbitro. Vuole fermarsi, non riesce più a vedere chiaramente la pallina. Di nuovo, la notte mette i bastoni tra le ruote al proseguo del match. Isner invece vuole disperatamente continuare, non può andare a dormire di nuovo con un conto aperto. Ma, dopo un breve confronto, l’arbitro Mohamed Lahyani (semplicemente eroico nel resistere sette ore consecutive seduto sul suo seggiolone, scherzerà poi a riguardo dicendo di essere abituato a lunghi viaggi aerei in economy) decreta la seconda interruzione per oscurità. Sono le 21.10. La partita si sta giocando complessivamente da nove ore e cinquantasette minuti. Il pubblico londinese applaude, urla, ironicamente chiede we want more. Ma l’odissea non può finire così, non oggi.

Mahut e Isner nella foto di rito
Mahut e Isner nella foto di rito (fonte: Dunya News)

Contorni da psicodramma

Isner rientra totalmente scosso, nello spogliatoio continua a ripetere al suo allenatore

«Perché non riesco a batterlo? Cosa sbaglio?»

Improvvisamente, quello che doveva essere un docile avversario uscito dalle qualificazioni si è trasformato nell’impersonificazione tennistica di un misirizzi (come lo storico Ercolino Sempreinpiedi) che, non importa quanto forte venga colpito, è sempre lì, di nuovo eretto, come se nulla fosse successo. Dopo una cena faraonica offerta dal connazionale, amico ed ex no.1 mondiale Andy Roddick – si parla di tre cartoni di pizza e di un numero imprecisato di alette e cosce di pollo -, ma soprattutto dopo aver osservato la reazione del mondo intero alla sua partita, crolla nel letto del suo appartamento in affitto.
Mahut, invece, rientrato in spogliatoio fa 15 minuti di stretching, e dopo cena lo si può vedere chiacchierare amabilmente col suo staff nella hall dell’albergo, telefonare o mandare messaggi ai suoi amici. Si addormenterà a notte fonda svegliandosi all’alba per una passeggiata assieme al suo allenatore. In quell’occasione Nicolas comprando L’Equipe, equivalente francese della nostra Gazzetta, per leggere le news della Francia ai mondiali di calcio – quelli in cui l’altro Nicolas, Anelka, manda allegramente a quel paese il CT Domenech provocando una spaccatura nello spogliatoio e sostanzialmente il clamoroso ammutinamento della rosa contro il proprio allenatore -, troverà il suo faccione in prima pagina. Confesserà poi di non aver letto una sola riga di quell’articolo.

Isner e Mahut alla fine del loro storico incontro.

Day 3

Le ultime battute

Così si arriva a giovedì 24 giugno. Oramai quella del campo 18 è già famosa come la partita infinita o la partita del secolo.
Molti addetti ai lavori (tra cui la leggenda John McEnroe) propongono di concedere ai due l’onore del campo centrale, ma gli organizzatori non sono d’accordo. Si deve finire sullo stesso prato dove tutto è iniziato. Oramai la terrazza è colma di telecamere televisive, e persino il megaschermo davanti alla Henman Hill viene sintonizzato su Isner vs Mahut, con buona pace di Andy Murray e Rafa Nadal, impegnati uno dopo l’altro sul campo centrale.
Si torna in campo alle 15.42, sul 59-59. Dopo poco più di un’ora, il tabellone recita 69-68, 30-40. Match point Isner. Mahut serve forte al corpo, l’americano risponde di rovescio, corto, costringendo l’avversario ad una demi-voleè che rimbalza lenta poco oltre la metà campo. Isner ruota l’enorme busto, carica il rovescio bimane e lo spara lungolinea. Passa. Punto. E’ finita. John Isner ha vinto la partita del secolo.

Fine dei giochi

Il pubblico esplode in un urlo assordante, John si lancia per terra salvo rialzarsi immediatamente per correre ad abbracciare l’avversario che è ancora a rete, con la racchetta in mano, incredulo. Prova a rincuorarlo, ma il francese è praticamente in lacrime. Il pubblico è tutto in piedi, mentre i giocatori vorrebbero solo uscire da quel campo per sempre. Non si rendono conto di aver appena scritto la storia, nonostante lo champagne e le foto ricordo davanti al tabellone del punteggio. Nell’intervista post-gara, Isner dice di non sentirsi neanche così stanco, perché con un atmosfera del genere attorno la stanchezza passa in secondo piano. Mahut, invece, parla di un grande dolore, e boccheggia qualcosa sulla “più grande partita di sempre”.
Il calo di adrenalina per lo sconfitto è tremendo. Boris Vallejo, il coach di Mahut, lo porta quasi in spalla fino allo spogliatoio. Ma la situazione è tragica. Nicolas fa fatica a stare in piedi e a respirare, viene chiamato il medico. Riesce solo a ripetere, con un filo di voce:

«L’ho persa io o l’ha vinta lui?»

L’impressione di tutti è che, al di là del tabellone, per una volta, non abbia perso nessuno.

La targa commemorativa del match tra Mahut e Isner
La targa commemorativa del match (Fonte: Wikimedia Commons)

I numeri

Spesso e volentieri i dati non servono a rappresentare a 360 gradi una partita, ma di seguito potete trovare solo alcuni dei record battuti in quella partita (il comitato del Guinness World Record ne riconoscerà ben 12), indicativi per capire la mole dell’impresa:

  • 11h 5min: Match più lungo della storia del tennis (precedente: 6h 33min, nel match Fabrice Santòro – Arnaud Clement al Roland Garros nel 2004)
  • 183 game: Maggior numero di game giocati (precedente: 112 game nel match
    Pancho Gonzales – Charlie Passarel nel 1969)
  • 215 ace: 112 di John Isner + 103 di Nicolas Mahut (precedente: 96 ace nel match Ivo Karlovic-Radek Stepanek)
  • 138 game: set con il punteggio più alto (precedente: 48 game nel match John Newcombe-Marty Riessen allo US Open nel 1969)
  • 502 punti: Nicolas Mahut, maggior numero di punti in una partita

Curiosità:

  • Nicolas Mahut scese in campo il pomeriggio stesso dopo la sconfitta, per il primo turno del torneo di doppio, sul campo 18, mentre sulla terrazza John Isner veniva intervistato dalla tv.
  • Il giorno dopo toccò ad Isner, impegnato nel secondo turno, perso contro il semi-sconosciuto Thiemo de Bakker, 74 nel ranking mondiale, in un’ora e un quarto.
  • Nel campo 18 è stata installata una targa commemorativa dell’evento.
  • Per tre mesi dopo la partita, Mahut soffrì di depressione, attacchi di panico ed incubi in cui riviveva la partita.
  • Dopo una settimana, il francese spedì una mail a Isner congratulandosi per il suo fair play, per la correttezza e per la classe dimostrate. I due sono tuttora grandi amici e si affronteranno, ancora al primo turno, ancora a Wimbledon, l’anno dopo, con Isner a portare a casa la sfida in soli tre set.
  • A partire dall’edizione 2019, gli organizzatori di Wimbledon hanno decretato, con immensa gioia dei rappresentanti dei giocatori, l’introduzione del tie-break sul 12-12 nel quinto set.

114 thoughts on “L’infinita battaglia tra John Isner e Nicolas Mahut

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