Microchip Temporale: memorie di un futuro passato

In un’epoca che ci ha abituato, cinematograficamente parlando, a un’invasione di remake, reboot, sequel, prequel, midquel, spin-off e chi più ne ha più ne metta, ci siamo abituati anche all’idea che fondamentalmente la cosa migliore sarebbe lasciare le cose belle nel passato, piuttosto che martoriarne la memoria e abusarne il cadavere per alzare quel tanto che basta per produrre l’ennesima opera non originale. Ma visto che generalizzare è facile, oggi come sempre faccio l’avvocato del diavolo.
Oggi parliamo di Microchip Temporale.

Forse alcuni di voi potranno trovarsi leggermente confusi dopo questo prologo. D’altronde non parliamo di un film, ma di un album musicale. Beh, un po’ di pazienza e ci arriviamo.

Premessa postuma

Uno dei pochissimi film uscito negli ultimi anni che recupera vecchie opere e franchise del passato che, secondo l’opinione di chi scrive, meritava davvero di essere fatto e visto è Blade Runner 2049. Oltre alla straordinaria messa in scena operata da quel genio che è Denis Villeneuve e all’interpretazione magistrale del protagonista Ryan Gosling, la ragione per cui Blade Runner 2049 merita il plauso di tutto il pubblico risiede in un fatto preciso.

Il primo capitolo Blade Runner, del 1982, diretto da Ridley Scott, era riuscito a cogliere lo spirito della distopia futuristica presente (scusate il gioco di parole) nel romanzo da cui è tratto “Do Androids Dream Of Electric Sheep?”, prendendosi però le giuste libertà. Una di queste è stata quella di spostare un po’ avanti nel futuro l’ambientazione della vicenda, ovvero nell’ormai passato 2019. 2049 coglie questa esigenza. Ha avuto il merito di aver preso la distopia e di averla lanciata avanti di trent’anni come la palla all’attaccante, segnando un gol da manuale. Lo spirito del futuro che deve ispirare, motivare, far riflettere, interrogare il nostro presente, come lo spirito del Natale che incontra Ebenize Scrooge nella notte di Natale.

(Per chi volesse saperne di più, tempo fa abbiamo scritto una recensione dettagliata su Blade Runner 2049, che potete leggere qui.)

Ritorno al futuro

Microchip Emozionale aveva lo stesso spirito. Uscito nel ’99 al crepuscolo del millennio, si poteva supporre che un disco così in Italia potesse uscire solo da una macchina del tempo tornata indietro di 20 anni. I Subsonica, interpretando un sound elettronico molto europeo, avevano saputo creare un impasto che coinvolgesse Rock, elettronica e testi in italiano ispiratissimi. Ogni brano presente in quel disco era curato per essere un singolo, con delle vette entrate nelle orecchie e nella memoria di milioni di persone, quali Tutti i miei sbagli, Il mio D.J. e Discolabirinto (il cui testo è opera di Marco Castoldi in arte Morgan, è giusto ricordarlo).

Scena tratta da Blade Runner 2049. Notate qualche somiglianza con la cover di Microchip Temporale?

A esattamente 20 anni di distanza la band torinese ha deciso di produrre un remake, spostando nuovamente l’album nel futuro. Ogni brano è stato riarrangiato, risuonato e remixato con l’ausilio di tanti artisti giovani che hanno contribuito a compiere questo viaggio nel tempo. Perché la cosa veramente imperdonabile sarebbe stata che un discone così cominciasse a sapere di vecchio.

I Subsonica si sono avvalsi, come dicevamo, dell’ausilio di molti colleghi. L’unico modo possibile per traslare avanti l’album però non era quello di rivolgersi a grandi star già affermate, magari provenienti dall’estero. Tutto il contrario: l’entourage è composto quasi esclusivamente da giovanissimi artisti da poco apparsi sulla scena musicale italiana. Tutti provenienti per lo più dai grandi calderoni dell’Indie e dell’Hip-Hop e che erano ben lontani dall’iniziare la carriera quando Microchip Emozionale vide la luce (unica eccezione per Elisa, che duetta con Samuel nella struggente Lasciati, ma non l’avrei cambiata letteralmente con nessuno).

Microchip Temporale: il lato A

Microchip Temporale ricalca le tappe del passato, avviando il viaggio nel tempo e nello spazio con il beatbox di Samuel nella piccola intro onomatopeica Buncia. Da qui ci si lancia subito in alto verso Sonde, brano paranoico che parla di entità indefinite che ci spiano. Con una intro che potrebbe tranquillamente fare invidia ai migliori Massive Attack, entra in scena la voce del primo ospite: Willie Peyote, al secolo Guglielmo Bruno, con le frasi iconiche: “Sanno tutto di te, qui c’è tutto di te”.

Al di là dell’arrangiamento fantastico, che oscilla dalla più marcata Drum ‘n Bass al Rock elettronico più ispirato, ciò che è geniale è il testo che parla della guerra dei dati, annosa questione del nostro tempo in cui la nuova merce di cui si nutre il capitale siano i nostri dati personali. Noi doniamo con leggerezza i nostri dati e informazioni personali su internet per un’esperienza più confortevole, e veniamo ascoltati da “angeli in ricezione con microfoni di precisione”. Tutta questa lettura del brano non era possibile nel 1999, banalmente perché il problema dei Big Data era ancora lontano a venire. Willie però è riuscito a inserirsi nel vecchio con una tematica nuova.

Ogni forma di conversazione è ormai intima intercettazione.

Willie Peyote recupera ed amplia perfettamente il messaggio originale del brano, ampliandolo ed attualizzandolo come solo lui sa fare.

A seguire troviamo Colpo di Pistola, brano tra i più aggressivi del disco, nel quale si avverte tutta la rabbia nell’arrangiamento e nel testo. L’ospite in questo brano è il rapper Nitro, noto per essere uno dei più caustici del panorama nazionale odierno. Sicuramente il suo tono abituale è pertinente con il brano nel quale è stato chiamato a collaborare. Nel risultato che ne emerge però si percepisce una certa disomogeneità tra il suo lavoro e quello della band.

La title track

Il quarto brano è la monumentale Aurora Sogna. Mai come in questo brano una singola parola ha assunto tanti significati distinti. A un livello letterale Aurora è la donna protagonista della canzone, a uno allegorico è l’aurora come alba che la protagonista non vede mai perché vive di notte, e a livello personale “Aurora” è anche lo storico quartiere di Torino (escludo eventuali rimandi a “l’Aurora” di Eros Ramazzotti). Quale che sia il significato che più vi aggrada del titolo, bisogna menzionare che Aurora Sogna era l’effettiva title track del disco, infatti nel ritornello si pronunciano le parole: “Sogna una carne sintetica nuova, attributi e un microchip emozionale”. Tra l’altro, se questo non è un tributo ai “lavori in pelle” di Blade Runner, non so cos’altro possano essere. Il brano ospita al suo interno un quartetto di guest: il duo dei Coma_Cose e quello dei Mamakass.

L’album continua con la struggente Lasciati, brano lento e introspettivo, caratterizzato dalle melliflue parti di chitarra e basso. La batteria di Enrico Matta si sovrappone a dei beat campionati che strizzano l’occhio alla Trap, ma resta molto elegante anche in un accompagnamento lento. Il brano parla di un incontro tra due protagonisti, i quali incapaci di parlarsi l’uno con l’altro, solo attraverso lo sguardo, giungono alla conclusione che “tutto finisce qui”. L’ospite del brano è una Elisa in stato di grazia. Lei interpreta con naturalezza e pathos la controparte femminile del cantante Samuel, dimostrando ancora una volta di essere una delle migliori voci femminili nel nostro paese.

Tutti i miei sbagli

La sesta traccia di Microchip Temporale è uno dei brani più conosciuti e amati della band: Tutti i miei sbagli, qui riproposta in una versione molto distante dall’originale. I Subsonica hanno deciso di abbandonare l’arrangiamento ricco e potente delle origini, in favore di una emozionante versione acustica eseguita insieme al giovane cantautore Motta. D’altronde è anche vero che la ricchezza dell’arrangiamento originale era stata portata a livelli estremi grazie alla performance insieme al progetto Rockin’ 1000. Il drastico passaggio dall’assurdo barocco al minimalismo cantautorale però ci dimostra che un brano può essere bellissimo anche al di là degli orpelli dell’arrangiamento.

L’atmosfera cambia radicalmente con Liberi Tutti, pezzo ispirato è potente di cui tutti vorrebbero cantare il ritornello a squarciagola. Ad accompagnare i Subsonica in questa corsa sui 150 bpm sono i ragazzi dello Stato Sociale di Lodo Guenzi che aggiungono le frasi straordinariamente azzeccate:

Viaggiare sempre, sbagliare sempre / dormire poco, ridere forte.

I Subsonica.

Il lato B

La seconda parte del disco si apre con un altro brano profondamente mutato rispetto al ’99: Strade. In origine il pezzo era caratterizzato da un arrangiamento marcatamente funky, e continuava l’idea di un viaggio luminoso in un disco ricco di groove e ballabile. Qui l’atmosfera si ribalta nettamente anche con l’apporto del cantante Coez. Il brano viene rallentato e vengono aggiunte strofe rap e cantate. Il sound che ne deriva, soprattutto grazie alla chitarra e ai synth di Boosta, suona in certi momenti quasi floydiano. Nel complesso possiamo dire che Strade in questa nuova versione finisca col diventare più un brano di Coez che uno dei Subsonica… Ma ciò non è necessariamente un male. I puristi possono ascoltare l’originale.

Discolabirinto

Il nono pezzo di questo grande remake è forse il più innovativo e più classico al contempo. I Subsonica per riproporre il loro pezzo più noto si sono avvalsi della collaborazione di uno dei nomi più in vista della musica elettronica in Italia: Cosmo, nome d’arte di Marco Jacopo Bianchi. Come spiegato da lui stesso in un post su Instagram, l’idea di lavorare a un pezzo così noto e amato dal pubblico della band in un primo momento spaventava il DJ, ma, dopo essersi assicurato di avere piena libertà di lavoro, ha accettato l’offerta.

Discolabirinto nella sua nuova versione si distanzia enormemente dall’originale nell’arrangiamento ma riprendendone mirabilmente l’obiettivo. Se il brano originale voleva essere proprio un tributo alle atmosfere e ai contesti clubbing, caratterizzato da un’idea decadente e quasi onirica, questa nuova versione ci riesce perfettamente. I tempi sono cambiati e il sound di Cosmo è il sound dei club di oggi. Potremmo dire che questo nuovo vecchio brano avrebbe potuto tranquillamente far parte di Cosmotronic tanto è diventato parte dell’idea di musica dell’artista di Ivrea. Il sound è cupo e onirico e i synth insieme alle percussioni campionate aiutano ad entrare in questo mondo straniante, nonostante a un certo punto fanno capolino le tracce di chitarra e batteria della versione originale. Con i suoi 7 minuti e 22 secondi, il pezzo è il più lungo di tutto Microchip Temporale.

Il mio D.J.

A seguire troviamo quello che forse è il featuring più inaspettato e insieme più riuscito di questo bellissimo lavoro corale. Il mio D.J., grande classico ricco di groove, si trasforma in un simpatico tripudio d’indecenza con l’apporto di Achille Lauro, provocatore nato. Non credevo che mi sarei mai trovato a scrivere queste stesse parole, ma la parte di Lauro è assolutamente geniale, al netto del fatto che lui non sappia cantare. Gli orgasmi, le strofe rap, il ritornello modificato che diventa “Passo la notte in questura ma” sono come il perfetto coupe de théatre che va a completare un pezzo che è una vera bomba. In questa versione si rafforza ancora di più l’arrangiamento funky con una linea di basso eccezionale suonata da Vicio.

L’undicesima tappa del viaggio è un tributo a dove tutto è iniziato. Il Cielo su Torino è un brano dalle sonorità marcatamente Rock, dove Ninja batte forte sui tamburi e non si risparmiano gli assoli di chitarra elettrica. L’ospite in questo pezzo è il rapper Ensi che si limita aggiungere una sola strofa ma molto evocativa. Meravigliosa la conclusione dove gli assoli, la voce di Samuel ed Ensi si sovrappongono fino a esplodere nella frase “tu sei come me”. Gli arrangiamenti orchestrali sono opera del chitarrista C-Max.

Albe meccaniche, a dispetto del titolo, è uno dei momenti più marcatamente oscuri del disco, con testi criptici e tastiere sognanti. Ad accentuare questa traversata al buio danno una mano gli amici dei Fast Animals and Slow Kids, con Aimone (che abbiamo incontrato e potete leggerne l’intervista qui) che canta il ritornello “Nella mala litania delle solite cose…” mentre tutto si distrugge fino quasi a strizzare l’occhio al Metal. Sebbene finora abbiamo parlato di Blade Runner, credo che in Albe Meccaniche si possa vedere un parallelismo con un altro caposaldo della distopia futuristica, ovvero Arancia Meccanica, sia per quanto riguarda la paronomasia del titolo, sia per l’atmosfera da pura ultraviolenza.

In un gioco schizofrenico di scambi, giravolte ed evoluzioni il clima cambia ancora radicalmente quando si passa a Depre. Un pezzo già di per sé decadente e scanzonato, basato prevalentemente su nomi di psicofarmaci e antidepressivi, diventa un reale capolavoro dadaista nel momento in cui entra in scena Miss Keta. Si può discutere sul suo essere più un oggetto di scandalo che una cantante, ma francamente in questa sede non c’interessa. E poi, come ci ha insegnato Pasolini:

Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista.

M¥SS KETA

Keta non esiste, e quando pronuncia le parole “Magneti Marelli” ho riso molto più di quanto mi sarei aspettato. A 2:08 viene anche accennato il riff di Seven Nation Army. Cosa si può volere di più dalla vita?

Un viaggio perfetto

Il viaggio di Microchip Temporale si conclude, neanche a farlo apposta con Perfezione, che ingloba in sé la intro “Buncia”. La fine di questo disco è in piena linea con quanto abbiamo sentito in precedenza e il ritornello esprime con grande forza il messaggio:

Neurotrasmettitori
Sinapsi elettrochimiche
Catene sequenziali di acidi nucleici
Mi parlano di te, mi parlano di te, mi parlano di te
Mi parlano
Ormoni, cromosomi, reazioni cellulari
Fattori neurotrofici di antigeni virali
Mi parlano di te
Mi parlano di te
Mi parlano di te, mi parlano

Ad aiutarli nella conclusione del viaggio si aggiunge il rapper Gemitaiz. Da questa nuova versione è stata esclusa la Ghost Track del remix di “Il Mio D.J.” che era presente in Microchip Emozionale. Meraviglioso il riff di chitarra distorto e dissonante suonato da C-Max.

Microchip Temporale: “Do Androids Dream of Electric Synth?”

Tra Blade Runner, un basso Funk e una strofa Rap siamo giunti a tirare le somme di un disco che sicuramente non può essere ignorato. 20 anni fa i Subsonica hanno scosso il panorama della musica italiana con un lavoro assolutamente unico e mai visto prima. Un lavoro che si avvaleva di mirabili testi uniti ad arrangiamenti fantastici, ma, come Roy Batty nel film di Scott, chiedeva più vita al suo creatore.
Oggi Microchip Temporale è come l’agente K nel film di Villeneuve: un replicante, un androide umano. Forse troppo umano.

Un saluto, Nicolò Guelfi.

15 thoughts on “Microchip Temporale: memorie di un futuro passato

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